mamma incinta

Fa parte dei primi esami che si fanno in gravidanza e serve per verificare se si è contratta o meno la toxoplasmosi.
Andiamo a conoscere da vicino da cosa si tratta e perché la Toxoplasmosi può essere pericolosa in gravidanza.

Che cos’è la toxoplasmosi

La toxoplasmosi è una zoonosi provocata dal Toxoplasma gondii, un microrganismo che svolge il suo ciclo vitale solo all’interno delle cellule. Il parassita può infettare tantissimi animali e si può trasmettere da un animale all’altro attraverso l’alimentazione con carne infetta. Il Toxoplasma condii quindi si trova nella carne ma non solo: può trovarsi nelle feci di gatto e nel terreno.

Sintomi, prevenzione e trattamento della toxoplasmosi

L’infezione da Toxoplasma gondii ha un decorso che può sommariamente suddividersi in due fasi: la prima, sintomatica, caratterizzata da un periodo che può durare settimane o mesi in cui il parassita si manifesta con ingrossamento delle linfoghiandole, stanchezza, mal di testa, mal di gola, senso di “ossa rotte”, a volte febbre e ingrossamento di fegato e milza. Ci sono casi di toxoplasmosi in cui la prima fase è complicata da sintomi gravi, come l‘infiammazione della zona visiva dell’occhio e dell’encefalo, e sintomi attribuibili a una malattia autoimmune.

La risposta del soggetto al Toxoplasma gondii determina il passaggio alla seconda fase della toxoplasmosi , caratterizzata dall’assenza di sintomi ma con la persistenza del parassita nell’organismo.
generalmente i sintomi sono quasi inesistenti tanto che per la maggior parte delle persone la toxoplasmosi è passata inosservata, quindi nelle persone con un sistema immunitario sano la toxoplasmosi è normalmente di lieve entità, chi contrae la toxoplasmosi resta protetto per tutto l’arco della vita da recidive, in quando produce anticorpi e linfociti specifici.

La toxoplasmosi in gravidanza

La toxoplasmosi può essere pericolosa se contratta in gravidanza in quanto è possibile la trasmissione al bambino attraverso la placenta, questo potrebbe provocare anche gravi danni al feto.
Già dalle prime analisi il ginecologo prescriverà l’esame Toxo-test per verificare la presenza di immunoglobuline specifiche attraverso i valori IgG e IgM.

La positività delle IgG indica un’infezione pregressa, quindi significa che la toxoplasmosi è stata contratta in passato e non ci sono rischi (molto conta anche il valore delle IgG). La presenza delle IgM indicherà se la toxoplasmosi è in atto e l’assenza di entrambi i valori indicherà che non è stata contratta e non è in atto. In questo ultimo caso occorre seguire delle regole ben precise per tutta la durata della gravidanza per evitare, appunto, di non contrarre la toxoplasmosi durante la gestazione.

Non c’è infatti un vaccino contro la toxoplasmosi ma ci sono delle pratiche da adottare che possono ridurre sensibilmente il rischio di contrarre questa malattia in gravidanza.

Come evitare di contrarre la toxoplasmosi in gravidanza

In gravidanza occorre dunque evitare di contrarre la toxoplasmosi. Si tratta di un rischio solo per le future mamme che non hanno mai contratto prima questa infezione. I principali fattori di rischio sono legati all’alimentazione, in primis rientra il consumo di carne poco cotta, poi la manipolazione della terra degli orti e dei giardini.

Occorre quindi evitare di mangiare carne poco cotta, e svolgere attività di giardinaggio senza dovute protezioni ( guanti). Ortaggi e frutta fresca devono essere lavati accuratamente prima del consumo. Spesso i ginecologi bandiscono il consumo di prosciutto crudo ed altri alimenti che potrebbero costituire un rischio.
Riassumiamo le regole per evitare di contrarre la toxoplasmosi durante la gestazione

  • Evitare la carne cruda o poco cotta.
  • Lavare accuratamente mani, taglieri e utensili da cucina dopo aver preparato la carne
  • Lavare accuratamente frutta e verdura prima di cucinare per rimuovere le tracce di sporco.
  • Evitare il latte di capra non pastorizzato e i prodotti caseari da esso derivati.
  • Indossare i guanti durante le operazioni di giardinaggio e lavare mani e guanti una volta terminato.
  • Rimuovere le feci del gatto dalla lettiera ogni giorno, indossando sempre guanti di gomma (o chiedere a qualcun altro farlo).
  • Lavare regolarmente e con acqua bollente il contenitore della lettiera.

Cosa succede se si contrae la toxoplasmosi in gravidanza

Contrarre la toxoplasmosi in gravidanza costituisce un rischio per il nascituro. Ma è bene evidenziare che con le attuali possibilità di trattamento, il 90% dei bambini con toxoplasmosi congenita nasce senza sintomi evidenti e risulta negativo alle visite pediatriche di routine. Solo attraverso indagini strumentali è possibile rilevare delle piccole anomalie a carico dell’occhio e dell’encefalo.

Se i test danno esito positivo, il medico può prescrivere un antibiotico che riduce il rischio del passaggio dell’infezione dalla madre al feto. E’ opportuno evidenziare che l’antibiotico è solo in grado di ridurre il rischio di contagio e non ha alcuna efficacia contro il microorganismo, quindi non limita eventuali danni se un bambino è già infettato.

Può essere anche somministrata una combinazione di farmaci per cercare di limitare eventuali danni al bambino.
Attraverso ecografie ed esami si può monitorare la situazione fino al parto.

L’eventuale danno in caso di contagio durante la gestazione dipende da quando si è contatta l’infezione.
In media, solo il 40% dei casi di infezione si propaga al bambino e spesso non si rilevano danni evidenti anche se in alcuni casi, i più gravi, la toxoplasmosi può causare aborto spontaneo, o danni cerebrali e ad altri organi, in particolare agli occhi.
Quasi tutti i neonati colpiti da toxoplasmosi non presentano danni evidenti alla nascita ma ii sintomi si svilupperanno negli anni seguenti.

Cosa fare se si pensa di avere contratto l’infezione?

Nel caso ci sia il sospetto di aver contratto la toxoplasmosi, si può richiedere un esame del sangue tramite il proprio medico.
Gli esami del sangue si possono effettuare in qualsiasi momento della gravidanza. Le analisi di solito mostrano la presenza di una possibile infezione, da 2 a 3 settimane dopo il contagio.

Se i risultati rilevano un’infezione recente o in corso, c’è il rischio che il feto venga infettato. Possono essere necessarie diverse settimane perché l’ infezione passi al bambino, il grado di rischio e la gravità del danno dipendono dall’epoca gestazione del contagio.
Un’infezione presa entro un paio di settimane prima del concepimento equivale a una percentuale di rischio di trasmissione al bambino molto bassa (circa 1%), ma non è da escludere un aborto spontaneo se il bambino si infetta.

Se la madre contrae l’infezione nelle prime 12 settimane, il rischio di contagio al feto passa al 10-15% . Se il bambino viene infettato in questa fase, c’è il rischio di abortito o di nascita con gravi sintomi quali idrocefalia, calcificazioni cerebrali o retinocoroidite (infiammazione della retina).

Nel periodo che va dalla settimana 13 alla 28, l’infezione contratta può ricadere sul bambino il 25% delle volte. Le probabilità di aborto sono minori, ma è ancora presente il rischio di sintomi gravi come quelli appena citati.

Infine, se l’infezione viene contratta nelle ultime settimane di gravidanza il rischio di trasmissione al bambino è nell’ordine del 70-80% ma è più raro che si rilevino danni gravi al bambino.

Per sapere se il bambino è stato infettato da un virus

Per sapere prima della nascita, se il bambino è stato infettato o meno è possibile sottoporsi a ulteriori test.
Il primo è tramite l’amniocentesi, una tecnica in cui il liquido amniotico è rimosso dal sacco amniotico mediante un sottile ago.
Un altro è la cordocentesi, ovvero una tecnica in cui viene prelevato un campione del sangue del bambino dal cordone ombelicale.
Le probabilità di aborto spontaneo in seguito a queste procedure sono dello 0,5-1% delle pazienti, e si eseguono solitamente dopo 15 settimane di gravidanza. Il liquido amniotico o il sangue del cordone ombelicale verranno poi analizzati utilizzando una gamma di test specializzati.
In caso di risultato positivo, il bambino sarà considerato infetto. Per rilevare danni importanti, come l’idrocefalia, è possibile effettuare un’ecografia. Questa però non esclude altri danni meno visibili.

Il trattamento dopo che il bambino è nato

Subito dopo la nascita sarà prelevato un campione di sangue dal bambino e dalla madre, per confrontare i loro livelli di anticorpi specifici.

Attraverso diversi test verranno cercati nel sangue del bambino gli anticorpi efficaci contro la toxoplasmosi.
I neonati che sono a rischio di toxoplasmosi congenita devono essere controllati per verificare la presenza di eventuali danni neurologici. In primo luogo, verranno esaminati gli occhi per verificare la presenza di eventuali problemi.

Ovviamente anche la salute generale del bimbo sarà verificata. Se c’è anche una sola possibilità che il bambino abbia subito un danno cerebrale, può rendersi necessario eseguire radiografie speciali per verificare la presenza di calcificazioni, ventricoli ingranditi o altre anomalie.

Se le analisi hanno dato esito positivo, è possibile che siano prescritti antibiotici, anche se il bambino non mostra sintomi.

Allattamento al seno: c’è il rischio di contagio?

L’allattamento al seno è sicuro se si ha la toxoplasmosi, la malattia non può essere trasmessa tramite allattamento. L’allattamento rappresenta anzi un modo per rafforzare il sistema immunitario del bambino. E’ quindi sempre consigliato, laddove possibile. Dopo il parto non sarò più necessario adottare le stesse misure preventive tenute durante la gestazione.